Pallone e dintorni, Simone Romagnoli

Scritto il 18/10/2021
da Pino Lazzaro


 L'incontro 


Allora, come è iniziato tutto?
“Sono cresciuto in una famiglia che ha sempre guardato allo sport e prima di tutto al calcio, i miei genitori, gli zii e pure mio fratello, più grande di me di due anni. Facevo sia minibasket che calcio, dovevo scegliere e visto che mio fratello faceva calcio è venuto naturale che facessi lo stesso. A Cremona, oratorio del Cristo Re, 200 metri da casa, in fondo alla strada”.

La Cremonese
“Avevo quasi dieci anni, alla Cremonese avevano deciso di fare i pulcini, mi presero. Ci si allenava in città, si cambiavano spesso i campi, non c’era ancora il centro sportivo come c’è adesso, un container a fare da spogliatoio. Della Cremonese ero proprio un tifoso, fin da piccolo facevo una testa così a mio padre per andare a vedere le partite”.

Il Milan
“Ricordo la telefonata dell’allenatore, giocavo negli allievi, lì a dirmi che c’era il Milan che mi voleva, il piacere che provai: era fine gennaio del 2007 quando passai con loro”.

Vita cambiata
“A Cremona facevo il terzo anno del classico, statale, c’era d’andare sino a Milano, al campo Vismara per gli allenamenti. Uscivo 10’ prima della fine delle lezioni e in bici arrivavo alla stazione, dei panini con me; poi il metro, infine l’autobus, spesso idem al ritorno e insomma arrivavo a casa la sera, a volte era mio padre a venirmi a prendere. La scuola? Avevo la media dell’8, sono sceso a 7 e mezzo…”.



A Gallarate, in convitto
“Avevo 17 anni e non è stato un impatto facile, non ero ancora né maturato, né formato. Ambiente diverso, con una competizione che ho subito sentito esasperata. Anni quelli in cui ho finito gli ultimi due anni delle superiori e mi sono iscritto all’università, Filosofia”.

Il poterci stare
“Quando sono arrivato alla Primavera, è stato lì che ho capito che avrebbe potuto essere pure il calcio la mia strada. M’è sempre piaciuto il pallone, sono nato con quello, c’era lì mio zio che mi faceva fare dei colpi di testa e avrò avuto due anni. Non che pensassi di fare il calciatore, era il presente quello che vivevo, è al Milan che le cose sono cambiate”.

All’università
“L’ultimo anno della Primavera è stato il primo all’università. Ricordo quanto sia stato difficile arrivare infine a scegliere il calcio, mi piaceva proprio quel che facevo all’università”.

A Foggia, con Zeman
“Dopo la Primavera la strada poteva essere quella di andare in prestito in una C buona o in una piccola B, finché m’arriva la chiamata del Foggia: ho detto sì all’istante, ricordo che ero a casa dei miei nonni quel giorno”.



Anno indimenticabile
“Sì. Perché era il primo e perché c’era lui, Zeman. Lui che ti fa sentire per davvero parte di qualcosa, con attorno un entusiasmo persino esagerato. Squadra molto giovane, all’inizio facevamo fatica a capire, poi abbiamo capito e il rammarico più grande rimane ancora per me non essere riusciti a vincere”.

Il divertimento, adesso
“Normale pensare intanto ai tre punti, con loro va sempre meglio, però c’è qualcosa in più, che va assieme ed è il fare le cose per bene, con la soddisfazione che così provi quando le fai”.

Professionista da sempre o più di prima?
“Fin da subito. Alcune cose magari adesso le farei diverse, ma ci ragionavo sempre, la gestione del mio corpo, lo stare in gruppo, il saperci stare, sono sempre stato attento su questo”.

La fascia al braccio
“Per la prima volta è toccato a me, l’anno scorso. Porto sì la fascia, ma quel che più conta è la composizione del gruppo, la necessità di arrivare a un equilibrio, anche oltre i calciatori (siamo in 25…), lo staff, la società. Dinamiche infinite, tutti con i loro sensori sempre accesissimi, a volte basta mettersi lì giusto ad ascoltare, altro che fare dei discorsi”.



Pagelle, social, tatuaggi
“No, le pagelle non le leggo. Soprattutto è un’autodifesa, evito possibili condizionamenti. Non ho nessun tatuaggio e non sono nemmeno social, a suo tempo ho avuto sì Facebook ma alla fine ho deciso di tirarmi via, volevo togliermi questa sorta di dipendenza”.

A che punto della carriera
“Mi auguro di avere ancora parecchio da fare, non sono stanco di giocare. Ho la fortuna di vivere in un posto che ti fa venire la voglia, sia per la società, sia per il gruppo che c’è”.

Dura dare consigli, specie adesso ancor più con i giovani, così dicono…
“Perché dura? È un qualcosa che comunque non vale solo per i giovani, vale pure per i vecchi. In sostanza, io dico: correre, proprio correre. Intendo il darsi da fare, l’impegnarsi, insomma per davvero partecipare”.

E dopo?
“Ho tante cose ancora da fare, col calcio mi vedo comunque sia dentro che fuori. Mi manca la tesi per arrivare intanto alla laurea triennale in Filosofia. L’idea, da una parte o dall’altra, è quella di provare a insegnare, sì, e potrebbe essere anche nel calcio, scrivi pure… allenatore se vuoi, chissà”.



Di Cremona, classe 1990, dai 10 ai 17 anni è con la Cremonese, passando poi alle giovanili del Milan con cui ha vinto gli Allievi Nazionali e la Coppa Italia Primavera. Con 6 presenze nell’U21 della Nazionale, ha giocato via via con Foggia, Pescara, Spezia, Carpi, Empoli, Bologna, Brescia e ancora Empoli. Dalla sua ben 4 promozioni dalla B alla A (Pescara 11/12, Carpi 14/15, Brescia 18/19, Empoli 20/21). A un passo dalla laurea triennale in Filosofia (manca giusto la tesi), è sposato con Giulia (hanno un bambino di un anno e mezzo).

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