Da lontano… Davide Petrucci (Hapoel Be’er Sheva, Israele)

Scritto il 23/12/2022
da Pino Lazzaro


Classe 1991, romano, nelle giovanili prima della Roma e poi del Manchester United, ha via via giocato con Peterborough Utd (“B” inglese), Anversa (“B” belga), Charlton (“B” inglese), Cluj (“A” rumena), Çaykur Rizespor (“A”-“B”-“A” in Turchia), Ascoli (B) e Cosenza (B); dal 2021 con l’Hapoel Be’er Sheva, nella “serie A” israeliana.

 


“Un percorso che parte da lontano il mio, avevo 16 anni quando mi sono trasferito in Inghilterra, al Manchester Utd. Poi ho viaggiato molto, ho giocato in diversi Paesi e mi sono via via reso conto che ogni posto ti lascia qualcosa. Penso così d’essere un calciatore un po’ particolare, sì: oltre a parlare diverse lingue, ho potuto confrontarmi con diverse culture, altri modi di pensare. Certo, all’inizio l’obiettivo era la Serie A, come no, ma poi vai a scoprire altre strade, non c’è insomma solo il calcio, ho potuto vivere esperienze impagabili, non c’è A o soldi che tengano”.



Guardare oltre
“Ho così messo assieme una mentalità diversa, sai com’è, l’italiano che fa fatica ad andarsene, il nostro calcio, la famiglia, il cibo… In effetti il tutto è pure una sorta di barriera e scavalcandola ci si accorge che è molto più ampio il mondo là fuori. Quel limite all’inizio l’ho avuto anch’io, è vero che in Italia si sta bene, però è pur vero che non c’è solo l’Italia. E c’ero tornato, la scelta di Ascoli per me è stata pure un omaggio/ricordo a mio nonno, lui era di lì, ma dopo Cosenza l’offerta che mi è arrivata dall’Israele non aveva paragoni: più soldi, la Conference League…”.

Vita cara
“Si sta bene qui, buone temperature anche d’inverno, tranne magari nei mesi estivi più caldi, impossibile pure allenarsi al mattino, lo si fa di sera. Vita che qui è parecchio cara, poco da fare, il conflitto con i palestinesi è sempre presente, a volte più, a volte meno ed è per garantire la maggior sicurezza possibile, proprio per finanziarla, che sono molto alte le tasse. Vivo in un appartamento, con me mia moglie e mia figlia, tre anni; un altro, un maschietto, arriverà tra poco. Posto bello, attorno grattacieli altissimi, tanta roba, un complesso chiuso di quattro palazzi e c’è tutto, piscine, palestre, giochi per i bambini. Si vive bene, certo che questo continuo conflitto è comunque presente, a volte la si respira un’aria comunque più tesa”.



Niente ritiri
“Un Paese piccolo Israele, trasferte brevi, la più lunga sulle tre ore e mezza in pullman, l’unica per cui si parte il giorno prima. No, niente ritiri, ci si trova direttamente al campo. Stadio nuovo e bellissimo, sempre le coreografie dei tifosi, pubblico caldo ma tutto finisce con la partita, molta meno pressione che da noi. Allenamenti tutti i giorni, intensi ma non molto lunghi e siamo una squadra forte, la scorsa stagione abbiamo vinto Coppa e Supercoppa”.

Poliglotta
“Un calcio divertente, ecco, meno tattico del nostro e con giocatori bravi tecnicamente, qui lo fanno spesso l’uno contro uno, un po’ di spazio ancora ce l’hai, non ti sono tutti subito addosso. E ce ne sono davvero di bravi, basta pensare al Maccabi, in Champions ha battuto 2 a 0 la Juventus e guarda che per battere la Juve ce ne vuole. Con l’inglese me la cavo bene e pure con lo spagnolo, ne ho avuti parecchi di compagni tra spagnoli e argentini. Anche col rumeno ci so fare, un po’ simile all’italiano. Qui gli israeliani tra loro parlano la loro lingua, certo però che tutti sanno l’inglese”.



Identikit
“Agli inizi ero più offensivo, dietro le punte; poi sono arretrato, non ho poi tantissima velocità e dunque ora sono più un mediano, costruisco gioco e i piedi sono buoni, entrambi. Nello spogliatoio sono uno che va d’accordo un po’ con tutti. Rispetto tutti e si deve sapere quando e come scherzare, ci vuole equilibrio, mai eccedere. Ho girato molto e questo mi ha aiutato a capire come uno la pensa e mi agevola nei rapporti, cosa dire o non dire. Ricordo in Turchia, di fronte dei musulmani davvero convinti e allora occhio a parlare per esempio di religione, di buttar lì magari una battuta scherzosa, te lo alzano subito un muro davanti, stop”.

Motivazioni
“Sono consapevole che gran parte della mia carriera è ormai alle spalle, la maturità certo c’è e dipenderà così dal fisico, penso almeno altri tre-quattro anni, diciamo sino ai 35, se starò bene anche di più. Quel che più conta è che mi diverta, che ne valga la pena, deve gratificarmi quel che faccio, senza dimenticare che non c’è solo il calcio, certo che no”.



Valigia pronta
“Anche qui, come in altri Paesi, ci sono dei limiti per quel che riguarda il numero dei calciatori stranieri. In Israele sono cinque e visto che la società ne ha presi diversi, anch’io come altri miei compagni dovrò cambiare, questo è sicuro. Qualcosa in ballo c’è, tra poco nascerà il bambino, una buona B in Italia potrebbe essere una soluzione, oppure ancora all’estero, nessun problema, sono aperto a tutto”.

Per dopo
“Come detto me ne sono andato molto giovane, non ho nemmeno finito la scuola. Ora però mi sono iscritto perché è l’università che poi voglio fare, management sportivo. Ho messo assieme tante esperienze, belle e importanti, non sono tanti quelli che le hanno fatte e credo possa essere un qualcosa da mettere al servizio dei più giovani, per poter facilitare le loro scelte. In ogni caso, sì, l’idea è quella di rimanerci in questo ambiente”.