Alice Pignagnoli - Volevo solo fare la calciatrice

Scritto il 04/05/2023
da Pino Lazzaro

 Biblioteca AIC 



Pretendevo che tutti mi chiamassero “Alicio”. Non perché sentissi particolari disfunzionalità rispetto al mio genere. Volevo i capelli tagliati corti, provavo a fare la pipì in piedi e declinavo il mio nome tanto grazioso a una forma maschile inesistente, solo perché mamma e papà mi avevano detto che non potevo giocare a calcio, perché il calcio era uno sport “da maschi”. E allora io volevo essere uno di loro, anche a costo di perdere la mia identità. Avevo pianto, strillato, puntato i piedi come solo una bambina cocciuta come me sapeva fare, cercato di far valere le mie ragioni: io amavo il calcio e sognavo di diventare come Alessandro Del Piero; perciò, era necessario che mi iscrivessi a una scuola calcio, per perfezionare la tecnica: volevo imparare a muovermi meglio e volevo farlo subito, ma non se ne parlava. A pallone, le femmine proprio non potevano giocarci.



Ecco Alice
“Non pensavo a un libro, no, l’idea fissa era sempre quella di tornare in campo ed è stato poi il dottor Zavalloni, il nutrizionista che col suo staff mi ha seguito pure negli allenamenti, a sottolinearmi che ero riuscita a fare qualcosa di grande, tornare dopo poco più di tre mesi in campo, che valeva comunque la pena lasciare una traccia, un qualcosa da regalare magari a mia figlia, non che dovesse essere necessariamente un libro”.

Minerva Edizioni
“Avevo così iniziato a scrivere e sono stata contattata dal direttore della casa editrice Minerva, a loro la mia storia interessava. Avevo già scritto un paio di capitoli, glieli ho mandati: sono piaciuti e ci hanno insomma creduto, anche perché di libri dedicati al calcio femminile non è che ce ne siano proprio tanti”.

Un po’ di “pulizia”
“Come detto, all’inizio scrivevo giusto per me e in certi momenti, ricordando questo e quello, ero andata giù pesante, nomi e cognomi e loro a dirmi che era meglio andarci piano, niente… cause per favore. Un po’ di revisioni, il libro era già in stampa e avevamo deciso, per questioni di mercato, che sarebbe uscito con l’anno nuovo, quando c’è stato il caso Lucchese, a dicembre 2022”.



Una colpa?
“Con la Lucchese, altra delusione, sì. Essere incinta ha voluto dire essere subito esclusa dalla squadra, la restituzione del materiale sportivo, il provare a svincolarmi contro la mia volontà. A livello economico ci sono voluti gli avvocati per avere quel che mi spettava, ma al di là dei soldi – quelli che sono poi – è soprattutto a livello umano che questi “dispetti” fanno davvero male, col fatto poi di dover vivere questa maternità in totale solitudine, senza l’appoggio della mia squadra. Si parla tanto di denatalità, certo che se la mentalità è questa…”.

Sul campo, ancora
“Tra due mesi nasce questo mio secondo figlio, sì, un maschio e continuo lo stesso ad allenarmi, so che non posso mica arrivare per dire a 100 anni, però io voglio finire sul campo, qualche società s’è fatta viva, la maggior parte mi evita come la peste, ma so quel che posso valere. Non m’interessa giocarne 30 in un campionato, quel che m’interessa è poter fare calcio come si deve, con in più che sento e so di poter essere una risorsa dentro lo spogliatoio, di poter dare e lasciare qualcosa a quelle che verranno”.

Una lunga strada
“Un po’ di “invidia” verso le ragazzine di adesso c’è, però sono pure orgogliosa del mio passato e so che prima di me ce ne sono state tante altre che hanno lottato. Penso a quando, per dire, dovevo lavarmi la maglietta per averla pronta per l’allenamento del pomeriggio. Per questo non posso dare nulla per scontato, come magari fanno ora le ragazzine che di magliette ne hanno quante ne vogliono e però, alle prime difficoltà, comunque mollano”.



Sfogliando
(pag. 18) Eravamo rientrate a scuola come delle eroine (vittoria in un torneo di calcio a cinque tra scuole elementari), per una settimana dispensate dai compiti: improvvisamente sembrava a tutti molto giusto che le femmine giocassero a pallone…

(pag. 28) Avevo sottolineato talmente tante volte la frase sul giornale che narrava l’azione del mio gol, che vi avevo fatto un buco, e avevo dovuto buttare l’agognato cimelio…

(pag. 31) Nel calcio era già tanto che non dovessi pagare una quota, nella pallavolo iniziavo a vedere i primi soldini…

(pag. 32) Tuttora penso che, finché una sola bambina in Italia non si sentirà a proprio agio nel giocare a calcio, sarà impossibile non solo competere con le Nazioni più forti, ma anche che la nostra società si evolva davvero…

(pag. 38) Indossare quella maglia (da portiere) diversa dalle compagne, poi, aveva nutrito e suggellato in me quel bisogno di individualità, di distinguermi dalla massa e, allo stesso tempo, di sentirmi parte di qualcosa di più grande, che da sempre mi contraddistingueva…

(pag. 44) Questa mia incapacità di vivere il presente mi ha sempre impedito di godermi i risultati dei miei sacrifici, anche quando sono rientrata in campo a 100 giorni dal parto, anche quando ho perso 16 kg in un mese…

(pag. 50) Per oltre due mesi ci siamo allenate con il campo ghiacciato e noi portieri non siamo potute andare a terra…

(pag. 70) Da quella squadra (la Torres)… ho imparato tante cose: una tra tutte è che ci si può sentire più soddisfatta con 7 presenze in un campionato che con l’intero minutaggio, se lavori a fianco delle più grandi calciatrici del Paese e vuoi sempre migliorarti…

(pag. 97) In Italia a ogni bambino, ragazzo, uomo, è garantita la possibilità di giocare a calcio. Perché alle femmine no? Perché, ogni volta, praticare uno sport così semplice e “povero” doveva essere una corsa a ostacoli per noi? …

(pag. 105) Nell’anno in cui la Fiorentina, prima tra tutte, aveva acquisito una squadra femminile, e aveva trattato in tutto e per tutto le sue atlete come professioniste, c’era ancora chi doveva fare due vite per poter seguire la propria passione e in più veniva ingannato…

(pag. 111) Le partite senza guardalinee, le risate negli spogliatoi prima della partita: per inseguire ciecamente un sogno, ero finita fuori strada…

(pag. 171) In quel momento, con mia figlia che lottava tra la vita e la morte… avevo chiesto alla ginecologa quanto tempo in più avrebbe comportato per il rientro in campo il taglio cesareo. Non mi vergogno a dirlo, o forse ora un po’ sì. Ma non mi era sembrato strano pensarlo…

(pag. 188) Cercavo qualcuno che mi trattasse da atleta e non da mamma in convalescenza.



Alice Pignagnoli
VOLEVO SOLO FARE LA CALCIATRICE
Prefazione di Laura Giuliani
Edizioni MINERVA



Di Reggio Emilia, classe 1988, portiere di ruolo, Alice Pignagnoli ha iniziato con la Reggiana, inanellando poi una lunga sequenza di squadre: via via Galileo Giovolley, Tradate Abbiate, Milan, Como 2000, Napoli, Torres (uno scudetto, una Supercoppa italiana e la partecipazione alla Champions League), Riviera di Romagna, Atletico Oristano, Valpolicella, ancora Riviera di Romagna, Imolese, Mantova, Genoa, Cesena e Lucchese (oltre 250 presenze tra Serie A e Serie B). Sposata con Luca Lionetti, che come ricorda Wikipedia ha giocato oltre 300 partite nell’Eccellenza emiliana-romagnola, nel 2020 è diventata mamma di Eva, finendo sotto la luce dei riflettori per il rinnovo del contratto al settimo mese di gravidanza (col Cesena) e il rientro in campo a soli 100 giorni dal parto.