Una foto, una storia
Dall’archivio fotografico AIC una bella immagine di Michele Andreolo, oriundo regista uruguagio, ammirato con la maglia azzurra dell’Italia e quella rossoblu del Bologna
Centromediani metodisti
Ci sono dei momenti in cui Leo Bonucci, 34 anni, da Viterbo, che giochi nella Juve o nella Nazionale italiana con cui si è appena laureato “da trascinatore” campione d’Europa, ricorda i grandi “centromediani metodisti” di altri tempi. Succede quando, non appena rubata palla alla prima punta avversaria, come un centrale difensivo deve fare, invece che appoggiarla in fretta al compagno di squadra più smarcato, calibra con piede educato lunghi lanci a parabola da posare, cinquanta o sessanta metri più avanti, sotto la suola di attaccanti lanciati verso un qualche appuntamento con il gol. Distruttore prima, e costruttore subito dopo, secondo una prassi tattica molto in voga negli antichi anni del “metodo”.
Centre-half
Ecco perché appare più sensato precisare che, in momenti del genere, Bonucci “rievoca” questi suoi antenati in maglia da calcio, essendo così lontani campionati e tornei in cui furoreggiano centre-half del calibro di Billy Wright, 109 partite con la Nazionale inglese dal 1946 al 1959 e una statua in memoria fuori dallo stadio del Wolverhampton, oppure l’Obdulio Varela che, con sagacia tattica pari a potere carismatico, conduce il suo Uruguay a battere il Brasile, allo stadio Maracanà di Rio, nella partita decisiva dei Mondiali del ‘50.
Due oriundi
Fra quanti in Italia hanno onorato il ruolo primeggiano due oriundi. Il più famoso nasce a Buenos Aires, in Argentina, il 15 maggio 1901, e si chiama Luis Monti, campione del mondo con la maglia dell’Italia nel 1934, quando ostenta la padronanza totale del gioco, fisica e tattica, a cui è dovuto il suo nome di battaglia, “Doble Ancho”, armadio a due ante. L’altro è il suo successore nella Nazionale allenata da Vittorio Pozzo, ovvero Miguel Angel Andriolo Frodella, uruguayano di Carmelo, dove viene al mondo il 6 settembre 1912.
Casi della vita
Curioso è l’ingaggio del giocatore, tipico di un’epoca in cui non esistono procuratori sportivi e osservatori. A causarlo è allora un autentico caso della vita, ovvero la fuga in Uruguay di un altro oriundo, Francisco Fedullo, centrocampista del Bologna e della Nazionale, imbarcatosi su un bastimento per andare a trovare il padre malato. Pozzo è disposto a perdonare questa improvvisa sparizione, ma a patto che Fedullo torni dal Sudamerica assieme a un altro italo-uruguagio, possibilmente fortissimo come Monti.
Più azzeccata non può essere la scelta che ricade su Andriolo, numero cinque del Nacional di Montevideo, detto “El Chivo”, il capretto, in virtù di quel guerresco carattere che ne ha fatto il protagonista di un famoso derby del 1934, pareggiato in nove contro undici ai danni degli eterni rivali del Penarol con conseguente vittoria del titolo nazionale.
El Chivu
Marcatura ostinata, pathos incrollabile, colpo di testa dalla fama supersonica, e onnipresenza tattica, sono le doti che “Michele Andreolo”, come viene chiamato dopo la naturalizzazione, capitalizza anche nel nostro Paese. Lo fa da titolare della Nazionale che vince i Mondiali del 1938, a Parigi, dove annulla in finale il sublime regista dell’Ungheria Gyorgi Sàrosi, e lo replica alla grande con la maglia rossoblu del Bologna, contribuendo da protagonista ai quattro scudetti conquistati fra il 1936 e il 1941. A una partita della stagione 1937 – ‘38 si riferisce questa foto, dove è da ammirare la classica postura con cui si accinge a calciare il pallone di un qualche assist a lunga gittata.
Impeto e calcolo in un solo gesto tecnico. Così ricorderanno “El Chivo” quanti ammirano la sua arte calcistica, sfoggiata in Italia anche con le maglie di Napoli, Catania e Forlì. Segue una carriera in panchina, conclusa allenando le giovanili della squadra di Potenza, la città lucana dove si spegne il 15 maggio 1981.
Come Giuseppe Garibaldi, condottiero mitizzato dai posteri sia in Italia che in Sudamerica, negli stadi del football è stato anche Michele Andreolo un “eroe dei due mondi”.