La partita che non dimentico, Alberto Paleari

Scritto il 12/10/2022
da Pino Lazzaro


Classe 1992, di Seregno, col settore giovanile è cresciuto con l’Aldini Bariviera (quartiere Quarto Oggiaro di Milano) passando poi a 15 anni al Milan. Dopo la Primavera con i rossoneri, ha vestito via via le maglie di Pontisola (D), Tritium (Prima Divisione), Virtus Vecomp (Seconda Divisione), Mantova (Lega Pro), Giana Erminio (Lega Pro), Cittadella (B), Genoa (A) e infine Benevento (B). Ha fatto parte (nel 2015, in Corea del Sud) della Nazionale universitaria di calcio che allora conquistò il titolo mondiale.

 

“Quella che più mi è rimasta dentro è l’andata della finale playoff: Cittadella-Verona (era maggio 2019). Un bel po’ di ricordi positivi, prima finale che facevo, il traguardo era la serie A, vinto per 2 a 0. Come dire, una serata perfetta, quando ci ripenso vedo momenti davvero belli anche se assieme c’è pure poi il rammarico grande per la partita di ritorno (persa per 3 a 0), come due facce, testa e croce”.



Quella porta stregata

“Pensa, la settimana prima avevamo perso in casa col Benevento e poi da loro siamo andati a vincere per 3 a 0, quasi non ce l’aspettavamo: partita dominata e il pubblico di casa che ci applaude. Quella sera, lì a Cittadella contro il Verona, mi porto dentro la sensazione che la mia fosse quasi una porta stregata, per quanto ci provassero non c’era nulla da fare, niente gol. Poi è andata come è andata, è stata tutta esperienza, noi che avevamo come risvegliato una cittadina da 20.000 abitanti, a Verona in tanti e si sa quanto possa essere calda la tifoseria lì a Verona, anche un po’ d’inesperienza da parte nostra, qualche provocazione, due espulsi…”.

A corpo morto

“Un frame di quella serata vincente ce l’ho bene in mente: avevo appena fatto una parata parecchio difficile, palla respinta e uno di loro che va a calciare e io lì che mi sono lanciato praticamente quasi addosso, per chiudergli lo specchio della porta. Ricordo ancora la sensazione di quanto carico mi sono sentito in quel momento, io che di mio sono equilibrato e pure precisino… che slancio ci ho messo”.

A che punto della carriera?

“Non sono più un ragazzino, negli anni ho via via fatto tutte le categorie, dalla D alla B e ho pure intravisto un po’ di serie A. So quel che posso fare e sono felice di quel che ho messo assieme: a mio modo di vedere fare la gavetta è a suo modo appagante. So la fatica che ho fatto, quanto ho “patito” e sono comunque in B, in una piazza importante come Benevento. D’accordo, giusto non accontentarsi, giusto cercare sempre di più, ma qualche volta è pure utile guardarsi indietro, riconoscere quel che si è fatto e chissà quanti poi vorrebbero stare o vorrebbero essere stati a questo mio livello”.



Nello spogliatoio

“Lì dentro sono uno silenzioso, che fa intanto il suo, cercando di trainare coloro che sono pronti a essere trainati. Se ho qualcosa di positivo da dire, lo faccio davanti a tutti; nell’altro caso, direttamente al singolo. Comunque non è proprio facile e penso specie ai giovani di oggi, ben già diversi da quelli di dieci anni fa, giovani che avevano e mostravano la voglia di imparare, che rigavano dritto. Oggi è diverso, i giovani fanno sì il loro dovere ma la mia impressione è che se dai loro un dito, ti prendono subito il braccio, prendendosi pure delle libertà che non so, prima non era così, prima bisognava innanzitutto dimostrare, poi poteva venire il resto”.

Dopo?

“Sì, ogni tanto ci penso e già qualcosa ho già cominciato a mettere in piedi, una scuola per portieri, anche con dei camp estivi. In effetti pensavo magari di poter diventare un preparatore dei portieri o atletico, sono laureato in Scienze Motorie, quella era insomma la direzione, ma sto vedendo con quanta velocità stanno cambiando le cose, le cose che si facevano appena 3-4 anni fa sono già roba vecchia, non puoi non aggiornarti, ancora e ancora. Credo che tra un po’ di anni sarà più facile per me risponderti e poi non è che mi veda sempre e solo nel calcio, chissà”.