“Era il 2020 e quello che più di ogni altra cosa mi ha convinto è stata la voglia di riprovare quello che avevo sperimentato con l’Albania, il verificare – com’era stato con loro – che quando e se hai la possibilità di lavorare con continuità, i riscontri poi li hai ed è questo che per l’appunto vedo ora proprio con l’Albania, quanto in questi anni hanno progredito. Aggiungo poi che di mio sono uno curioso e sto fatto di conoscere altre realtà, altri mondi, usi, costumi, religioni diverse… sono diversità che mi attirano”.
Ci vorrà tempo
“Tornando ai risultati, devo però dire che qui di tempo ce ne vorrà di più. La speranza poteva magari essere quella di arrivare terzi nel girone qualificatorio degli Europei ma siamo capitati con squadre che sono certo più di noi: Austria, Belgio e Svezia; con in più l’Estonia che in questi anni è cresciuta parecchio”.
Scelte limitate
“Uno dei problemi che ho qui con la Nazionale è che nelle squadre di club arrivano a giocare fino a sette stranieri, parecchi africani e brasiliani. Nella loro “Serie A” da quest’anno giocano in tutto 10 squadre e vedendo tutti gli stranieri che ci sono, è in effetti parecchio ridotto il numero dei convocabili. Un calcio di non altissimo livello, grosso modo una nostra Serie B da metà in giù o una C da alta classifica”.
L’inglese (purtroppo)
“Con l’inglese me la cavo bene, però non sono molti tra i calciatori quelli che lo parlano e così ho con me un interprete, uno giovane, 27 anni, è stato a suo tempo in Italia, tra l’altro tifosissimo della Roma. Sì, lo so bene, con l’inglese non è però la stessa cosa, di mio so d’averla una buona capacità empatica, a volte chiedo così all’interprete di metterci un po’ di enfasi, di forzare… l’audio, ma so che di certo “entrerei” parecchio di più col mio italiano”.
Nello staff
“Ci sono pure Tony Pulcinella e Alessandro Scaia. Il primo ha quel suo “Tony” perché è nato in Australia, ha allenato pure in Interregionale, tanta e tanta passione, sa ingegnarsi e fa pure le video analisi; il secondo è il preparatore atletico, Alessandro Scaia, prima di venire con me era stato con Gregucci all’Alessandria”.
Nella capitale
“A Baku, che è la loro capitale, tra andate e ritorni ci sto grosso modo un otto mesi all’anno. Vivo in un appartamento, nella “Baku da bere”, dove soggiornano più gli stranieri. Il Mar Caspio è poco lontano, vista mare insomma, anche se qui a Baku non è certo un bel mare, tanto petrolio, non come al sud del paese, lì sì è davvero… mare”.
Identikit
“Una terra interessante e varia, con climi diversi tra loro. Trovi la fascia desertica, quella verde e lussureggiante, quella montagnosa con diverse cime che superano i quattromila metri. Baku ha sui tre milioni di abitanti, con la parte storica, la città Vecchia, che è patrimonio Unesco; posto suggestivo quello, ci vado spesso lì a camminare. No, la vita non è cara; un po’ di più magari dove vivo io, ma fuori no, anche nei migliori ristoranti te la cavi con una ventina di euro”.
Strutture da A
“Le strutture che qui hanno sono sì da “Serie A”. C’è pure uno stadio da 70.000 posti, bellissimo certo architettonicamente, ma tra la pista e lo sviluppo degli spalti lo vedi proprio lontano il campo. E poi altri stadi, da 10-12.000 spettatori, tutti raccolti attorno ai campi, all’inglese. Bello è poi pure il centro sportivo della Nazionale, dove c’è pure uno stadio col campo coperto”.
In Italia?
“Certo che sì, certo che tornerei ad allenare. La passione è sempre tanta, mica per niente sono venuto sin qui in Azerbaigian: a certe condizioni, verrei di sicuro”.