Borja Valero: Un altro calcio

Scritto il 22/06/2023
da Pino Lazzaro


 Biblioteca AIC 


Firenze, fine estate 2021
Sono nervoso. E spingo sul gas. Ho il borsone tra le gambe e già questo mi sembra strano. È da una vita che non vado ad allenarmi in scooter: in serie A è vietato. Un conto è farsi male dopo un contrasto di gioco, un altro andare a sbattere in motorino. Insomma, esistono delle regole precise. Erano le mie regole. Ora non lo sono più.
Sto viaggiando verso un mondo nuovo, diverso. Voglio dire: tre mesi fa giocavo in serie A, due anni fa in Champions League… Rimpianti? Zero. Nostalgia? Un po’. Momenti indimenticabili? Tanti. Pessimi? Qualcuno. Motorini? Mai. Ecco a quello a cui sto pensando, mentre attraverso il quartiere del Galluzzo, Firenze Sud. La città sta lasciando il posto al verde. Attorno a me, le colline. Sono un po’ nervoso. O meglio: ho lo stomaco in gola, neanche da ragazzino, al primo allenamento con l’Alevín A del Real Madrid stavo così.



“L’idea è partita da Benedetto Ferrara. Con lui nel tempo s’era venuto a creare un certo rapporto, non che fossimo proprio amicissimi, però tra noi ho sempre avvertito, come dire, un silenzioso rispetto. All’inizio mi pareva un’idea folle, non mi sembrava nemmeno “giusto”, pensando poi ad altri calciatori ed altri libri, mi reputo tuttora un nessuno. Lui però ha insistito, diceva che la mia, partendo da quand’ero piccolo, poteva sì essere una storia interessante…”.

Al “lavoro”
“Così abbiamo cominciato, incontrandoci una-due volte la settimana, il tutto per un quattro mesi. Io lì a raccontare, lui a farmi qualche domanda; un po’ alla volta mi portava i capitoli e dove servivano correzioni o aggiunte le facevamo assieme”.



Quel titolo?
“Non è stato semplice arrivarci. Ne erano saltati fuori diversi ma nessuno mi “riempiva” del tutto, anche l’editore ha suggerito qualcosa e così siamo arrivati a “Un altro calcio”, con quel riferimento dal Real Madrid al Centro Lebowski che poteva essere sì interessante”.

Via con le presentazioni
“Diverse ne abbiamo fatte a Firenze, nei vari viola club e una anche in una libreria di Milano. Occasioni emozionanti, non avrei mai pensato di poter arrivare a esperienze così, con tutti quei positivi feedback online della gente. Un conto sono i complimenti che ricevi per quello che fai in campo, un altro per il racconto di una vita semplice, la mia”.

Palestra e padel
“L’anno scorso ho avuto la fortuna di aiutare sul campo la squadra del Centro Lebowski, quest’anno no per via del lavoro. Non so se in futuro potrò ancora farlo in via ufficiale, certo che a loro continuerò comunque a dare una mano. Capita magari di giocare ogni tanto un po’ a calcio, ma per tenermi in forma (altrimenti la moglie si lamenta) adesso soprattutto palestra e padel”.



Sfogliando
(pag. 12) Prendevo una pallina del bingo, con una sedia costruivo la porta, mettevo i personaggi del Playmobil in barriera e poi, con le dita, cercavo di trovare uno spiraglio per fare gol. Non era mica facile…
(pag. 19) … la mia infanzia è stata così: semplice e felice. E anche un po’ solitaria. Già allora ero un ragazzino che pensava tanto, forse troppo, e parlava giusto quando aveva qualcosa da dire…
(pag. 29) Quando entrai per la prima volta al centro sportivo del Real Madrid avevo il cuore che batteva all’impazzata. Più che emozione, era incredulità: avevo solo undici anni e fino a quel momento avevo trascorso tutti pomeriggi con addosso il completino del Real arrivato per Natale…

(pag. 32) Lo portai a casa (il borsone del Real Madrid) tenendolo stretto tra le braccia, come se temessi che qualcuno me lo potesse strappare di mano da un momento all’altro…
(pag. 35) E ciò che stavano cercando di insegnarmi Butragueño e gli altri allenatori era che tutti hanno dei punti deboli, ma i grandi giocatori riescono a nasconderli. A trasformarli…
(pag. 54) Insieme (con Rocío, la futura moglie) potevamo chiacchierare di tutto. Sì, il 70 per cento del possesso palla ce l’aveva lei, il 20 io, mentre nel 10 restante si insinuava quel silenzio che mi serviva per trovare le parole giuste…

(pag. 63) Entrai nello spogliatoio in punta di piedi, secondo la vecchia regola, sempre valida, che dice: “Se vuoi essere rispettato, parla poco e dimostra il tuo valore sul campo”…
(pag. 76) Dal sole di Maiorca eravamo precipitati in una piccola stanza del seminterrato (in albergo, nei pressi di Birmingham), con una finestrina minuscola da dove ogni tanto vedevamo scorrere le ruote delle auto sull’asfalto…
(pag. 89) Álvaro venne alla luce alle dieci del mattino del 6 marzo 2010. Solo quando gli sfiorai la pelle con le dita la prima volta compresi davvero ciò che era successo: avevo venticinque anni ed ero diventato padre…



(pag. 105) Perché ti rendi conto (ascoltando lì sul campo l’inno della Champions League) di essere davvero al top, di affrontare dei campioni in stadi incredibili. È quell’inno che ti fa capire di essere arrivato là dove volevi arrivare da bambino, quando fantasticavi di voler giocare a pallone…
(pag. 108) Dopo la retrocessione non uscii di casa per una settimana. Sette giorni di autoreclusione, in cui il mio massimo sforzo consisteva nell’aprire e chiudere la finestra…
(pag. 121) Del viaggio a Puerto La Cruz (in Venezuela, con la Nazionale) ricordo solo la vista dalla mia stanza dell’hotel a cinque stelle che ci ospitava: baracche e baracche, la povertà che girava intorno al nostro mondo dorato. Anche quello fu un bel colpo al cuore…

(pag. 136) A fine stagione a ognuno di noi arrivò una bella Vespa bianca marchiata con il giglio viola. Io giro ancora con quella…
(pag. 139) Nel dire addio a mia madre, fui un uomo fortunato. Ebbi la possibilità di trascorrere intere settimane con lei, parlandole, confidandomi, ascoltando i suoi ricordi, le sue speranze…
(pag. 148) Io sono uno che se sbaglia chiede scusa. Ma quella volta non avevo colpe…

(pag. 176) Senza motivazioni non vai avanti: è necessario avere addosso la stessa adrenalina dei primi giorni, oltre al desiderio di imparare sempre qualcosa di nuovo…
(pag. 178) Quando a San Siro proiettarono la sua foto sul tabellone luminoso (di Davide Astori), in tanti iniziarono a piangere. Tra quei tanti c’ero anch’io…
(pag. 209) Grazie, Firenze. Per noi (con la moglie e i due figli, uno e una) il calcio è amore, è bellezza, è sentimento. Ed è per questo che ho scelto di restare con te.



Borja Valero con Benedetto Ferrara
UN ALTRO CALCIO
Dal Real Madrid al Centro Storico Lebowski, il mio viaggio a tutto campo
Rizzoli



LA SCHEDA
Classe 1985, dopo le giovanili nel Real Madrid e il debutto tra i prof con l’affiliata Real Madrid Castilla, ha via via giocato con Maiorca, West Bromwich, Villareal, Fiorentina e Inter. Tornato alla Fiorentina ha concluso la sua carriera da professionista al termine della stagione 20/21.
Ancora tesserato con il Centro Storico Lebowski (club fiorentino che gioca in Promozione), fa parte della squadra di opinionisti di DAZN.

▪ Giornalista, per trent’anni firma di “Repubblica”, Benedetto Ferrara ha seguito il Motomondiale, le Olimpiadi di Londra, i Mondiali in Sud Africa e le avventure della Fiorentina, la squadra della sua città. Ha realizzato documentari a sfondo sociale in Burkina Faso, Perù, India, Brasile e Siria. Dal 2021 collabora con “La Nazione”.