Pallone e dintorni... Antonio Donnarumma

Scritto il 23/10/2023
da Pino Lazzaro


“Si giocava e giocavo in parrocchia, anche attaccante, bastava giocare. Poi, avevo 8 anni, è venuto lì da me mio zio, da parte di mamma, si chiamava Enrico Alfano, ormai se n’è andato. Lui a suo tempo aveva giocato, anche in B e in C, faceva il preparatore dei portieri e viene da me e mi dice che l’indomani mi viene a prendere, che mi mette in porta, vediamo se mi piace. Così è cominciata e quanto tempo ho passato su quel campo, giusto terra e sassolini, mi ricordo ancora il gommapiuma che mi mettevo qui, sui fianchi, per proteggermi, sembravo anch’io quasi rotondo”.



Soprattutto divertimento
“Sì, è stata per me una fortuna quel mio zio, lo guardavo e avevo questa voglia di “superarlo” lì in porta ma non è che avessi fissa in testa l’idea di diventare chissacché, è stato bravo a farmi soprattutto divertire, così va fatto, sino ai 12-13 anni deve essere soprattutto divertimento, lo dico sempre quando capita ai genitori, spesso adesso così ossessionati”.

Bei tempi
“Poi, quando mio zio Enrico è morto, è dopo che sono passato alla Juve Stabia. Ho dei ricordi stupendi di quegli anni, io che cominciavo così proprio a uscire di casa, l’incontro di tanti e tanti ragazzi e ricordo i provini che andavamo a fare, dappertutto, da nord a sud e per quel che riguarda i portieri c’era Ernesto Ferrara, sono tanti i portieri che sono passati da lui, penso a Iezzo, Mirante, Sicignano, Coppola, pure mio fratello”.



Consapevolezza /1
“A Milano sono arrivato che avevo 14 anni, dentro di me la voglia di diventare qualcuno e il fatto che mi avessero scelto, il Milan dico, è stata proprio una bella spinta positiva. Ricordo mia madre, lei lì a chiamarmi dopo pochi giorni, a dirmi che le mancavo, di tornare e quanti ne ho visti che sono tornati indietro…io no, l’ho sempre avuta la voglia di continuare. Lo so, è certo il mio lavoro però quando fai qualcosa che ti piace, per cui hai tanta e tanta passione, dura che ti pesi, di base hai dentro questo entusiasmo. Per me la felicità di poter davvero diventare qualcuno e ho capito che ci potevo stare anch’io quando ho firmato il primo contratto col Milan, per me ha voluto dire che anche loro – il Milan! – puntavano su di me”.

Passione, tanta
“D’accordo, ci sono sempre i sacrifici, chiamiamoli così, li devi per forza fare, specie quando le cose non vanno bene, magari non giochi… ma l’unica risposta che conosco è quella di dover allora fare ancora di più, di impegnarmi ancora di più e l’obiettivo è quello di arrivare a giocare. So di averci messo soprattutto tanta passione, lei c’è stata prima di tutto e una cosa importante poi è che devi farti voler bene e se penso a dovunque sono stato, m’accorgo che dappertutto ho avuto degli ottimi rapporti, lo ricordo il dispiacere sia mio che di coloro che avevano lavorato con me, al momento di lasciarci”.

Contano i tre punti
“Qual è adesso il divertimento? Poco da fare, tanto dipende dalla partita, se arrivi a vincerla è il massimo. È proprio bello vederli, lì nello spogliatoio, tutti i compagni felici e così la settimana che hai davanti la vivi meglio, ti viene bene lavorare ancora di più, proprio perché così magari puoi continuare a vincere. È proprio vero che vincere aiuta a vincere. Di mio sono uno a cui non piace perdere, mai, anche una partitella e se ne accorge subito mia moglie quando entro in casa, me lo ripete, se per una partitella fai così, chissà poi… so che è così, mi dispiace portare a casa tutto questo, poi però ci sono loro, i bambini, uno e una, ci pensano loro a farmi star bene”.



Consapevolezza /2
“Ho la fascia di capitano e credo d’essermela guadagnata. Ricordo quel che ho passato tre anni fa, via dal Milan, in quattro anni di partite ne avevo giocate tre, chissà cosa potevano pensare, chi poi sarei stato. È arrivata la proposta del Padova e l’ho pure detto lì a casa che Padova doveva diventare un punto d’arrivo, non di partenza. Ho puntato così su di me, io sapevo bene il fuoco che avevo dentro”.

Privilegiato
“Mi sono subito trovato bene, avverto l’affetto della gente e sono orgoglioso di questo: ho fatto insomma dei passi importanti, è per questo che me la sento guadagnata questa mia fascia di capitano. Certo, sono e mi sento un privilegiato, soprattutto in questo momento della mia carriera: mi sento al posto giusto al momento giusto. E un altro privilegio in più è quello di avvertire d’essere importante per il Padova”.

Identikit
“Quel che è fondamentale per me è mettermi sempre in discussione, ancora e ancora, se mi appiattisco allora non sono più quel che sono per davvero. Ecco che pure l’allenamento devo viverlo per bene, sempre sul pezzo, assieme a Zancopè (il preparatore dei portieri; ndr), lui sa che quel che voglio è di migliorare, in questi tre anni lui è diventato proprio un punto di riferimento per me. Per la partita dell’ansia c’è sempre, ci deve essere, io penso quella giusta, poi lì in campo sono uno che sa estraniarsi, che non “sente” tanto l’esterno”.



Nello spogliatoio
“Che capitano sono? Per un compagno farei qualsiasi cosa, darei l’anima. Il gruppo vale più di tutti, è questo che ho sempre pensato, fascia o non fascia e poi non ci sono solo io, ce ne vogliono sempre altri, non serve aver la fascia per essere un “capitano”, quei sei-sette che con te diano la mano, specie ai giovani, a crescere. No, non mi piace star lì a parlare e parlare, ma quando serve ci sono, credo di essere tra quelli che “vedono” i problemi, allora vado e gli parlo, quasi fossi un fratello, ecco… e poi non è che serva più di tanto urlare, basta uno sguardo a volte, è più che sufficiente”.

Chiaroscuro
“Cosa non mi piace di questo nostro mondo? Che tutto sommato di persone vere non è che ce ne siano proprio tante. Bisogna sempre osservare, cercare di capire, se fidarti o no e a volte pure tu non devi essere vero… un mondo che sa essere insomma un po’ strano ma credo che magari lo stesso capiti anche in altri ambiti, negli altri mondi. E aggiungo che è comunque un mondo questo in cui ho avuto la fortuna di conoscere dappertutto tanta gente stupenda”.

Dopo
“Al dopo non è che ci sto pensando, davvero. Mi verrebbe da dire, qui, che forse avrò così la possibilità di dedicare più tempo alla famiglia, non è insomma che ci sia proprio tanto a casa, come si dice me la godo poco, penso pure che i bambini hanno bisogno pure del papà: ecco quel che adesso penso immaginando il “dopo”. No, che io possa un giorno allenare è un qualcosa che sinora non mi è mai passato per la testa, non lo so”.



Classe 1990, da Castellamare di Stabia (Na), Antonio Donnarumma (nove anni più “vecchio” del fratello Gianluigi, ora al Paris Saint Germain) dopo gli anni con le giovanili della Juve Stabia è passato quattordicenne nel settore giovanile del Milan (vincendo il campionato Allievi nel 2007 e la Coppa Italia Primavera nel 2010). Via via ha poi vestito le maglie del Piacenza (B), del Gubbio (B), del Genoa (A), dell’Asteras Tripolis (“Serie A” greca) e ancora del Milan (A). Col Padova (C) dall’agosto 2021, ha al braccio da questa stagione la fascia di capitano.